C.A.P. 2017 TELESCOPI di Claudio C.

 

 

 

LOGO CORTESE

TELESCOPI di Claudio C                

                        strumenti                

Esistono fondamentalmente due famiglie di telescopi: i rifrattori e i riflettori.

I rifrattori sono anche detti galieliani proprio in onore del celebre scienziato che, come visto in precedenza, ha utilizzato tale tipologia per primo in ambito astronomico. Come lascia intuire il loro nome sfruttano il principio fisico della rifrazione delle onde luminose che passano attraverso le loro lenti tramite un percorso lineare.  Quali sono i parametri che dobbiamo ricordare per descrivere uno strumento? La nomenclatura che si sta per introdurre sarà valida indistintamente per rifrattori e riflettori, si userà quindi in seguito anche per la seconda tipologia che tratteremo.  L’apertura sarà il diametro della lente (o dello specchio per i secondi) e ci fornirà una misura di quanta luce lo strumento riesce a raccogliere. La lunghezza focale è  la misura del percorso che la luce effettua all’interno del tubo, ovviamente in un rifrattore coinciderà con le dovute approssimazioni alla lunghezza dello strumento stesso. Ricordiamo inoltre il rapporto focale datoci dal rapporto fra apertura lunghezza focale, esso è un numero adimensionale che ci consente di riepilogare velocemente le caratteristiche dello strumento dandoci la possibilità di capire l’utilizzo che si può fare di esso.

I rifrattori sono dotati di aperture generalmente “modeste” rispetto alla loro lunghezza focale, ciò fa sì che il loro principale utilizzo sia per la visualizzazione di oggetti già di per sè molto luminosi come i pianeti o la Luna.

Tipica di questa famiglia è l’aberrazione cromatica ovvero una distorsione dei colori che può essere corretta tramite lenti a bassa dispersione o alla fluorite (parleremo di telescopi apocromatici) che, purtroppo, hanno un costo esponenzialmente più alto di quelle normali (ovvero dei telescopi acromatici). Un primo metodo per dare la possibilità a chi ha un telescopio a casa di capire di cosa è in possesso è quella di chiedergli dove piazza l’oculare e quindi l’occhio. Nel caso in cui piazzi l’occhio alla fine dello strumento sarà quasi sicuramente in possesso di un rifrattore. Il “quasi” è d’obbligo in quanto, in seguito, vedremo che condividono questa caratteristica con i catadiottri. I rifrattori indubbiamente peccano in trasportabilità, un parametro che per un astrofilo in cerca di cieli sereni e limpidi è di primaria importanza. Non è pensabile portare in una trasferta uno strumento lungo due metri ma per determinati oggetti una lunga focale è indispensabile.

I riflettori sfruttano invece il principio della riflessione grazie ai due specchi che li costituiscono, assumono anche il nome di newtoniani in onore di Sir Isaac Newton che inventò tale schema ottico nel 1680.

Uno specchio, (detto primario) si trova in fondo al tubo e grazie alla sua forma parabolica riflette la luce verso un secondo specchio (detto secondario) piano ed inclinato di 45° rispetto al primo fissato su un supporto in prossimità dell’apertura. I riflettori sono caratterizzati da aperture ampie che consentono di raccogliere una buona quantità di luce, peculiarità indispensabile per l’osservazioni di oggetti del deep sky. Ricordando la definizione di lunghezza focale che abbiamo dato sarà facile comprendere che in questo caso, essendo la luce riflessa indietro, sarà quasi doppia rispetto alla lunghezza del tubo. Ciò fa sì che questa tipologia di strumenti sia sicuramente più trasportabile in relazione alla lunghezza focale di cui necessitiamo inoltre la costruzione di uno specchio è più economica rispetto a quella di una lente. Tra gli altri vantaggi ricordiamo anche che non presentano il fenomeno dell’aberrazione cromatica. A questo punto una domanda sorge spontanea (si fa per dire): se questo stratagemma di riflettere la luce è così utile per aumentare la lunghezza focale  perché non reiterarlo con un altro gioco di specchi?

Una soluzione a tale problema la diede Laurent Cassegrain con la sua configurazione.

Nei Cassegrain infatti lo specchio primario, pur sempre parabolico, è forato al centro, il secondario è invece parallelo al primo ed iperbolico. Grazie alla sua forma il secondario riflette nuovamente la luce indietro attraverso il buco del primario. A dire il vero tale schema nella sua forma pura è oggi poco utilizzata, sono invece piuttosto diffuse le sue varianti come lo Schmidt-Cassegrain o il Maksutov-Cassegrain dove si utilizzano specchi di forma sferica più semplici da lavorare completandoli poi con una lastra correttrice per ovviare all’aberrazione sferica che ne deriva.

Un telescopio, però, va considerato come un sistema che non potrà mai funzionare al massimo delle sue potenzialità se anche uno solo dei suoi componenti è di qualità più scarsa degli altri. Partiamo quindi dall’analisi delle varie montature sulle quali possiamo montare uno strumento, esse si dividono in due famiglie: le altazimutali e le equatoriali.

Le montature altazimutali assumono questa nomenclatura in quanto si muovono seguendo appunto le omonime coordinate (azimut e altitudine) e sono indubbiamente quelle di più semplice utilizzo. Questo tipo di montatura è adatta all’osservazione in quanto non necessita di particolari manovre preventive e puntare un oggetto con essa è molto intuitivo. Il grosso limite di quest’ultima è che non si presta bene all’astrofotografia, soprattutto per gli oggetti del deep sky.

 

In questo caso ci verranno in soccorso le montature equatoriali (così chiamate dal sistema di coordinate equatoriali che si muovono lungo declinazione e ascensione retta).

 

 

Questo tipo di montatura ha un asse chiamato asse polare che va orientato verso Nord (i modelli più avanzati hanno incorporato un telescopio polare grazie al quale si può orientare quest’asse semplicemente puntando la Stella Polare). Grazie a questa operazione lo strumento andrà a simulare il moto apparente della volta celeste e tramite un motore manterrà l’oggetto puntato sempre al centro del nostro campo visivo.

 

Le montature di ultima generazione hanno inoltre un sistema di puntamento “go to” ovvero, dopo aver dato qualche informazione al software che le governa, tramite un ricco catalogo sono in grado di cercare autonomamente l’oggetto che desideriamo vedere.

Altro elemento imprescindibile per l’osservazione è l’oculare, il quale ha il delicato compito di rendere nitida e contrastata l’immagine che si viene a formare. Tali oggetti costituiscono la parte variabile del telescopio  ed anche essi hanno una determinata lunghezza focale, tramite quest’ultima possiamo andare a calcolare il numero di ingrandimenti che stiamo effettuando tramite una semplice formula:Ad esempio con un telescopio con lunghezza focale di 1000mm otterremo 100 ingrandimenti tramite un oculare da 10mm. Avendo a disposizione un buon set di oculari avremo una vasta gamma di ingrandimenti in modo tale da poter puntare qualunque tipo di oggetto astronomico. Un altro componente importante per utilizzare al meglio la propria attrezzatura è il cercatore, ovvero una sorta di “mirino” montato in maniera parallela al telescopio che inquadra vaste porzioni di cielo. Grazie al ridotto numero di ingrandimenti ci consente in maniera agevole di trovare un oggetto per poi ritrovarcelo anche nel campo visivo dell’oculare.

RIFRATTORE

RIFRATTORE      RIFLETTORE    RIFRATTORE

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *