Per sir E.Halley in occasione dell’anniversario della morte ( 14 gennaio 1742 )

 

Gli Antichi e le comete

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Fin dalla profonda antichità l’uomo ha sempre studiato i corpi celesti ed i fenomeni ad essi connessi: Babilonesi, Egizi, Caldei, fino ad arrivare ai Greci, coloro i quali meglio di qualsiasi altro popolo dell’antichità, forti della loro cultura e della razionalità filosofica tipica degli Elleni, hanno formulato teorie che, visti i limitati mezzi di cui disponevano, risultano ancora oggi frutto di una genialità inarrivabile. L’uomo antico vedeva nell’armonia del cielo, delle stelle e dei pianeti, il riflesso dell’armonia cosmica, di cui le stesse divinità olimpiche ne erano una rappresentazione. Era logico dunque che corpi “instabili” e”irregolari”, come potevano allora apparire le comete, rappresentavano uno squilibrio della suddetta armonia celeste.

Da questa convinzione scaturiva il fatto che fenomeni come il passaggio di una cometa, o anche eclissi di sole o di luna, apparivano come un presagio funesto, portatori di sventure. Era logico, dunque, che sull’argomento si moltiplicassero gli studi e che varie fossero le tesi a riguardo. Vediamole in ordine cronologico: Epigene sosteneva che esse altro non erano che turbini d’aria vorticosi sospinti dal vento; Zenone, Anassagora e Democrito sostenevano che esse non erano dei veri corpi celesti ma dei raggi di luce prodotti dall’eccessiva vicinanza di due pianeti; Artemidio di Paro sosteneva invece che le comete erano delle lingue di fuoco liberatesi da una superficie di fuoco che circondava la sfera celeste, riferendosi evidentemente all’atmosfera; Apollonio di Mindo infine sosteneva che le comete fossero dei corpi celesti distinti da tutti gli altri, che a differenza di questi però non avevano una forma discoidale ma allungata o quantomeno irregolare, e la cui orbita, non essendo regolare, non è nota come quella degli altri corpi celesti. Si può dunque notare come gli studi fossero, nel giro di poche generazioni, progrediti enormemente. Fino ad arrivare a Seneca, filosofo stoico, precettore di Nerone, il quale nella sua opera chiamata Naturales Questiones, opera tarda e per questo molto precisa e riflessiva, dedica un intero libro, il VII, allo studio delle comete; innanzitutto egli confuta le superstizioni legate al passaggio delle comete, tipiche della plebe che le percepiva come portatrici di sventure, <<Le città – scrive – allora tumultuano, ognuno leva grida disperate, spinto a ciò da una vana superstizione>>. Le grida, come specifica lo stesso Seneca, servivano ad allontanare il sortilegio e il cattivo presagio. Seneca fa sue le conclusioni di Apollonio di Mindo, ma aggiunge <<Sono solo quindici secoli dacché si è cominciato a indagare il cielo e a dare nomi alle stelle; e solo da poco i Romani hanno conoscenze scientifiche. Ci vorranno molte generazioni e poi tempo verrà che i posteri si stupiranno che noi non sapevamo cose così manifeste…>> e <<…verrà poi qualcuno a dimostrare in quali regioni del cielo corrano le comete, perché errino separatamente dagli altri corpi celesti, quale sia la loro grandezza e natura…>>. E infatti la premonizione di Seneca si incarnerà in T. Brahe e I. Newton.

La tendenza ad annoverare le comete come portatrici di sventura cominciò a cambiare da quando l’imperatore Augusto promosse la leggenda che voleva che Giulio Cesare, divenuto un dio dopo la sua morte si fosse trasformato in una cometa e che essa si ripresentasse ogni volta che lo stato era in pericolo; perciò quando una cometa fu osservata al tempo di Nerone, molti predissero la sua caduta in disgrazia, come effettivamente avvenne, quando dopo la sua morte il senato ne decretò la damnatio memoriae, cioè la dannazione eterna alla sua memoria e la cancellazione perpetua del suo nome e di tutti i suoi atti. Successivamente il mito fu adattato alle esigenze dei cristiani, che ne videro, molto probabilmente, un legame con la cometa che guidò i Magi.

Giacomo Leopardi nel Saggio sopra gli errori degli Antichi del 1815, prendendo come spunto questi versi di Seneca, che dice: << non considero le comete come fuochi improvvisi ma le annovero tra le opere eterne dalla natura…  …se qualcuno a questo punto mi chiederà: «Perché il corso delle comete non è stato osservato come quello dei cinque pianeti?» io gli risponderò che molte sono le cose che ammettiamo che esistano, ma ignoriamo quale sia la loro natura… …perché dunque ci meravigliamo che le comete, uno spettacolo dell’universo così raro non siano ancora comprese in leggi sicure, né si conosca l’origine e la fine di quei corpi celesti, il cui ritorno avviene dopo così lunghi intervalli di tempo?… …verrà un giorno in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua di lunghi secoli porterà alla luce ciò che ora ci sfugge. Una sola generazione non basta all’indagine di fenomeni così complessi, anche se si dedicasse esclusivamente al cielo…>>, ribatte: <<La predizione di Seneca si è avverata. La sua opinione intorno alle comete è ora dimostrata dall’esperienza, e tenuta da tutti per vera. Ma la memoria degli antichi non è ancora spenta, come egli credea dover avvenire. Dopo diciotto secoli noi ci ricordiamo dei suoi detti, e rendiamo giustizia alla sua previdenza e alla profondità delle riflessioni che egli aveva fatte intorno alla natura dell’uomo…>>.

Per concludere, presso i popoli nordici, le comete rappresentavano la morte di una persona pura, la cui anima saliva al cielo, e la possibilità, per chi l’avesse vista, che un desiderio potesse essere esaudito; credenza che si può riscontrare ancora in tempi recenti nella famosa fiaba della Piccola fiammiferaia del danese Andersen.

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