Costellazioni e mitologia – “figli della terra e del cielo stellato”

Mito di Orione

Ci siamo mai chiesti da che cosa derivano i nomi delle costellazioni? Da dove uscivano quei nomi a volte così difficili da ricordare? E chi è colui che li ha pensati? La risposta è da ricercarsi nella mitologia greca; furono proprio loro, gli antichi Greci, i primi a vedere, o almeno a credere di vedere, nel cielo delle particolari figure che a loro ricordavano i protagonisti dei loro racconti. Figli della terra e del cielo stellato, così gli antichi (e qui intendo pure i Romani che rimasti affascinati dalla cultura greca la assimilarono quasi totalmente) si pensavano, era la loro Genesi. Esiodo, vissuto tra VIII e VII secolo a.C. raccolse tutti i racconti che si tramandavano nelle varie zone della Grecia sull’origine del cosmo e degli dei, li mise insieme e scrisse quella che poi diventerà una sorta di Bibbia degli antichi, la Teogonia. Qui c’era tutto quello che si voleva sapere sulle genealogie cosmiche e divine. In principio era Kaos dal quale si autogenerarono Tenebra e Notte, poi Etere e Giorno e Gea (la Terra) e Urano (il Cielo stellato). Poi via via tutte le altre entità fino ad arrivare a Zeus che stabilizzerà il cosmo e il mondo intero su un piano di stabilità e armonia. Si capisce quindi che la religione che noi moderni definiamo pagana, era molto più di semplici racconti fantastici e irreali; era una “religione” molto legata a ciò che circondava coloro i quali la avevano generata. Fatta questa dovuta premessa ci riesce più semplice ora capire perchè gli antichi Greci si preoccuparono di studiare dei puntini luminosi nel cielo e perchè diedero loro nomi mitici.
Il cielo invernale è sicuramente il più bello da osservare, condizioni climatiche permettendo ovviamente, ed è ricco di tante costellazioni legate a miti altrettanto belli. La costellazione che più risalta e tra l’altro è tra le più riconoscibili di tutte, anche a un occhio non proprio allenato, è Orione. Orione era figlio di Poseidon, dio del mare, ed Euriale figlia del re Minosse di Creta. Orione era un formidabile cacciatore ma purtroppo fu molto sfortunato in amore; infatti corteggiò senza successo le Pleiadi, le sette bellissime figlie di Atlante e Pleione ricevendo un rifiuto da parte di tutte loro. Orione firmò la sua condanna a morte quando un giorno si vantò di essere più abile di Artemide nella caccia; la dea si sentì tanto offesa da quest’affronto che quando Orione affermò di poter catturare qualsiasi bestia esistente sulla faccia della terra, la dea fece uscire da una fessura nel terreno un piccolo scorpione che con una sua puntura uccise il maestoso e potente Orione.

Zeus però impietositosi per la storia dello sfortunato cacciatore decise di porlo tra le stelle per l’eternità. Questa è la versione “ufficiale” la più seguita e tramandateci da Eratostene. In realtà ci sono pure altre versioni presenti in Igino, Arato e Ovidio che modificano leggermente le cause della morte ma non il fatto che fu la puntura di uno scorpione ad uccidere Orione. E infatti, se ci si fa caso, la costellazione dello Scorpione è posta in un angolo di cielo lontano da Orione, proprio per evitare che l’animale possa nuocere di nuovo al nostro cacciatore. Germanico, nipote di Tiberio nonchè padre del futuro imperatore Caligola, grande generale delle legioni del nord e astronomo dilettante scrive: “l’infelice Orione teme ancora di essere ferito dal pungiglione velenoso dello scorpione”. Accanto ad Orione ci sono le costellazioni del Cane Maggiore e del Cane Minore; il Cane Maggiore secondo il mito era Lelapo un cane velocissimo, tanto veloce che nessuna preda poteva sfuggirgli. Ebbe tanti padroni tra i quali Procri figlia di Eretteo re di Atene. Il cane fu regalato a Procri da Artemide che le diede pure un giavellotto capace ci centrare in qualsiasi occasione la preda. Successe però che in una battuta di caccia Cefalo, marito di Procri colpì accidentalmente la moglie uccidendola. Affranto allora lasciò Atene e partì per la Beozia dove una volpe malvagia devastava i campi e i raccolti. Cefalo allora decise di aiutare la gente del posto ordinando a Lelapo di catturare la volpe. Solo che la volpe era altrettanto veloce e abile a sfuggire agli attacchi del cane. Così i due si rincorrevano senza sosta e senza possibilità che la contesa vedesse un vinto e un vincitore. Zeus allora, stanco di vedere i due animali rincorrersi in eterno, li pietrificò e pose il cane nel firmamento a compagnia di Orione. La stella principale della costellazione Sirio (il nome deriva dal greco “seiros” che significa “che fa appassire”, “che inaridisce”) era vista come la stella che segnava l’inizio del periodo più caldo dell’estate, i giorni canicolari appunto, dalla stella del Cane.

Il Cane Minore invece è Mera che apparteneva a Icario, uomo a cui Dioniso insegnò a fare il vino. Quando però lo fece assaggiare ai suoi compagni contadini, questi si ubriacarono e pensarono che Icario li avesse drogati o che avesse fatto loro qualche incantesimo. Così lo uccisero e Mera il cane fedele di Icario corse dalla figlia di questi, Erigone, trascinandola fino al luogo del delitto. Gli dei impietositi posero i tre tra le stelle (Mera il Cane Minore, Icario è Boote e Erigone la Vergine). Un’altra costellazione del cielo invernale è quella dei Gemelli Castore e Polluce, figli di Zeus che si unì sottoforma di cigno a Leda, regina di Sparta. La stessa notte Leda si unì anche con Tinadro il suo legittimo consorte così nacquero quattro figli due mortali Castore e Clitennestra e due immortali Polluce ed Elena (colei che sarà rapita da Paride scatenando la guerra di Troia). Castore e Polluce crebbero stando sempre insieme, inseparabili, belli e forti. Divennero formidabili guerrieri e parteciparono a molte imprese belliche; presero parte alla spedizione degli Argonauti insieme a Giasone per recuperare il vello d’oro. Durante questa spedizione approdarono in una remota regione dell’Asia Minore dove regnava un certo Amico, figlio di Poseidon, invincibile nell’arte del pugilato. Amico imponeva a tutti i coloro che attraccavano presso la sua terra di sfidarlo in una gara pugilistica; Polluce irritato dall’arroganza di quell’uomo accettò la sfida e con un sol pugno lo stese al suolo uccidendolo. La spedizione riprese e i due ebbero modo di salvare l’intero equipaggio durante una tempesta tanto più che da allora i Dioscuri (cioè i figli di Zeus) sono invocati a protezione dai marinai. Terminata la spedizione i due si innamorarono di Febe e Ilaria due belle fanciulle che però erano già fidanzate con Ida e Linceo due argonauti. Ne scaturì una lotta che vide Castore ucciso trafitto dalla spada di Linceo. Polluce pianse amaramente il fratello e chiese a Zeus di riportarlo in vita; dato che ciò non poteva accadere Polluce decise di barattare la sua immortalità per stare per sempre con lo sfortunato fratello così Zeus li pose entrambi nel cielo abbracciati per l’eternità.

Il Toro è una costellazione con un mito abbastanza breve nel senso che esso è l’animale nel quale Zeus si trasformò per rapire Europa figlia di Fenice, che poi diventerà la regina di Creta e che darà il nome all’intero continente. Vicino alla costellazione del Toro ci sono le Pleiadi, le sette figlie di Atlante e Pleione (un’oceanina), cioè Alcione, Celeno, Elettra, che con Zeus generò Dardano fondatore di Troia, Maia, Sterope, Taigete e Merope. Tutte e sette ebbero storie d’amore con uomini importanti tranne Merope che si unì a Sisifo un furfante dall’astuzia seconda solo a quella di Ulisse. Così per la vergogna una volta assunte in cielo per le molestie di Orione, ella volle allontanarsi dalle sorelle. Infatti Merope è la stella più lontana e più fioca delle Pleiadi. Secondo il mito l’Auriga è Erittonio mitico re di Atene a cui la dea Atena insegnò molte cose, tra le quali ad addomesticare i cavalli e infatti fu l’inventore della quadriga ad imitazione del carro solare di Apollo. Secondo un’altra versione invece egli era Mirtilo il cocchiere del re Enomao, figlio di Ermes (Mercurio). Egli era solito sfidare tutti pretendenti alla mano di Ippodamia, la sua bellissima figlia, ad una gara di corsa sui carri il cui scopo era arrivare per primi a Corinto. Se si vinceva il premio era la mano di Ippodamia ma se si usciva sconfitti la pena era la morte. Ora dato che i cavalli di Enomao erano invincibili tutti i pretendenti di Ippodamia fecero una brutta fine. Un giorno però si presentò Pelope, figlio di Tantalo, di cui Ippodamia si innamorò a prima vista. La ragazza allora decise di corrompere Mirtilo che segretamente amava la ragazza; il giovane cocchiere decise di aiutere Ippodamia allentando le ruote del carro di Enomao che infatti durante la corsa si schiantò provocando la morte del re. Pelope però non fidandosi del giovane lo uccise buttandolo in mare facendolo annegare. Ermes affranto dalla perdita del figlio lo pose in cielo tra le stelle. Le due orse secondo il mito sono Callisto (Orsa Maggiore) e suo figlio Arcas (Orsa Minore); Callisto era una collaboratrice di Artemide e per questo doveva mantenere la verginità per tutta la vita, ma Zeus invaghitosi di lei, riuscì a concubirla con l’inganno prendendo le sembianze di Artemide. Dall’unione nacque appunto Arcas, ma Callisto fu punita da Artemide e trasformata in un’orsa poichè aveva perso la verginità. Arcas crebbe bello e forte e divenne un mirabile cacciatore. Un giorno incontrò sulla sua strada un’orsa che altri non era che Callisto che vedendo il figlio avrebbe avuto voglia di abbracciarlo e stargli vicino. Arcas però vedendo quell’animale gigantesco avvicinarsi ebbe paura e stava quasi per accopparla se non fosse intervenuta Artemide che gli svelò la vera identità di quel bestione. Zeus li pose entrambi in cielo ma Era (Giunone) gelosa dell’ennesimo tradimento del marito maledisse i due e il suo anatema fece si che le due costellazioni fossero talmente vicine al polo da sembrare rincorrersi per l’eternità senza potersi mai incontrare.

I Pesci, costellazione fioca e poco visibile, furono posti in cielo da Afrodite poichè furono proprio due pesci ad aiutare la dea che si era nascosta in un fiume per sfuggire a Tefeo, un mostro figlio di Gea che fu mandato per vendicare la sconfitta dei giganti da parte degli dei olimpici. Ultima costellazione presa in considerazione è quella di Perseo secondo il mito filgio di Zeus e Danae. Il piccolo Perseo fu costretto ad abbandonare Argo perchè al nonno Acrisio re della città, fu predetto da un oracolo che il nipote sarebbe stata la causa della sua morte. Acrisio furente, e fece chiudere Danae e il figlioletto in una cassa di legno che mise su una nave lasciata alla deriva. L’imbarcazione fu fermata da un pescatore di nome Ditti, fratello del tiranno dell’isola di Serifo , Polidette che, vedendo la cassa e credendo che contenesse qualcosa di prezioso, la portò a riva. Apertala, vi trovò Danae e Perseo ancora miracolosamente vivi. Il pescatore li aiutò a riprendere le forze e li condusse al cospetto del re che, preso da pietà per i due naufraghi, offrì loro ospitalità. Passarono gli anni e Perseo cresceva forte e valoroso divenendo ben presto un giovane bellissimo e fortissimo. Danae era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo; ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore. Allora Polidette pensò di eliminare Perseo con un piano astuto dicendo di aspirare alle nozze con Ippodamia per il bene del regno e, dopo aver radunato gli amici confinanti e lo stesso Perseo, annunciò i suoi propositi di nozze e chiese a tutti un regalo; da ognuno dei presenti avrebbe gradito un cavallo. Perseo, mortificato perché non possedeva nulla di simile da donargli, affermò che se il re non avesse più insidiato sua madre Danae, gli avrebbe procurato qualunque cosa avesse chiesto. Polidette espresse il desiderio di avere come dono di nozze la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni. Per poter raggiungere Medusa, Perseo doveva assolutamente procurarsi dei sandali alati per spostarsi a gran velocità, una sacca magica per riporvi la testa recisa e l’elmo di Ade che rende invisibili. Intanto Atena gli fornì uno scudo lucido come uno specchio, raccomandando all’eroe di guardare Medusa solo di riflesso. Ermes gli regalò un falcetto di diamante affilatissimo, col quale l’eroe avrebbe decapitato il mostro. Quegli oggetti erano custoditi dalle ninfe dello Stige che abitavano in un luogo noto solo alle Graie, nate già decrepite e vecchie. Erano in tre, ma disponevano di un solo occhio e di un solo dente che usavano a turno. Allorché Perseo le raggiunse, attese il momento dello scambio di questi due vitali strumenti e li rubò entrambi. Così le Graie, prive dei loro organi, si trovarono in grande difficoltà e accettarono di rivelare all’eroe dove si trovassero le Ninfe che gli consegnarono i sandali, la sacca e l’elmo. Quindi  Perseo si diresse verso il paese degli Iperborei, una popolazione che abitava nelle regioni fredde e spoglie del Nord. La foresta nella quale si incamminò per giungere presso Medusa era pietrificata e cosparsa di strane statue color piombo rappresentanti uomini e donne in diversi atteggiamenti. Perseo si accorse subito che quelle non erano statue, ma esseri che avevano avuto la sventura di guardare il volto di Medusa. Resosi invisibile grazie all’elmo di Ade, avanzò camminando all’indietro, guardando nello scudo; quando fu abbastanza vicino al mostro lo decapitò col falcetto. Dal collo mutilato della Medusa scaturirono un cavallo alato, Pegaso e un gigante, Crisaore. Perseo sollevò la pesante testa e la mise nella sacca, poi si alzò in volo con i suoi sandali alati per allontanarsi il più in fretta che poteva da quel luogo sinistro. Perseo raccolse pure il sangue che colò dalla ferita che aveva proprietà magiche: quello che era colato dalla sinistra era un veleno mortale, mentre quello colato dalla sua vena destra era un rimedio capace di curare anche ferite e malattie mortali. Mentre volteggiava sul territorio della Filistia, vide incatenata a uno scoglio una fanciulla, nuda e bellissima: Andromeda, figlia del re di Etiopia Cefeo e di Cassiopea. Era condannata a essere divorata da un mostro marino a causa della vanità della madre. Perseo si offrì di liberare la fanciulla e il luogo da quella calamità purché il re gli consentisse di sposare Andromeda. Cefeo e Cassiopea sulle prime non erano favorevoli, ma furono costretti ad acconsentire. Perseo, non fece alcuna fatica a uccidere il mostro marino che doveva divorare Andromeda, e riportò la giovane dai genitori. Tuttavia durante i festeggiamenti di nozze, Agenore, un ex pretendente alla mano di Andromeda, giunse alla reggia accompagnato da uomini armati, pronto a tutto pur di averla. Fu Cassiopea, che non gradiva Perseo come genero, a dare il segnale della battaglia. L’eroe, per difendersi, estrasse ancora la testa di Medusa trasformando in pietra i nemici inclusa Cassiopea. Il vincitore, presa per mano Andromeda, e tornò a Serifo. Nell’isola, Perseo trovò, presso un tempio la madre Danae nascosta insieme a Ditti, come in un asilo inviolabile. La causa di ciò era infatti Polidette che, non avendo nessuna intenzione di sposare Ippodamia, non aveva smesso di insidiarla. Preso allora da un’ira incontenibile e giunto alla reggia di Polidette per portargli il dono di nozze, Perseo venne deriso ed insultato da tutti, e per vendicarsi dei torti subiti, tirò fuori, ancora una volta, dalla sacca magica, la testa della Gorgone e pietrificò tutti. Perseo consegnò allora al padre adottivo Ditti il potere sull’isola di Serifo. Restituì poi i sandali, la bisaccia  e l’elmo di Ade ad Ermes che li restituì alle Ninfe. Poi Perseo, insieme alla moglie Andromeda e alla madre Danae ritornò ad Argo, volendo rivedere suo nonno Acrisio. Ma questi, venendo a sapere le intenzioni dell’eroe e temendo sempre l’oracolo che gli aveva predetto la morte per mano di un figlio di Danae, partì per Larissa, nel paese dei Pelasgi, all’altra estremità della Grecia. Perseo, raggiuntolo, lo rassicurò e riuscì a farlo tornare ad Argo. Ma a Larissa il re Teutamide diede dei giochi in onore di suo padre, e Perseo vi giunse come competitore. Al momento di lanciare il disco, s’innalzò un vento violento, cosicchè il disco lanciato da Perseo, colpì Acrisio alla testa e lo uccise. Cosicché il verdetto dell’oracolo si compì. Divenuto signore di Argo, non se la sentì di regnare su quella terra quindi fondò Micene, facendo costruire ai Ciclopi delle mura inviolabili. Alla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose affianco la sua amata Andromeda e la madre Cassiopea la cui vanità aveva fatto si che i due giovani si incontrassero. Questi sono i miti legati alle costellazioni invernali. Ovviamente abbiamo escluso le costellazioni moderne, aggiunte recentemente e che non sono legate a dei miti come ad esempio la Lepre o l’Unicorno. Ancora visibili sono le costellazioni di Cassiopea, Andromeda, Balena, tipiche del cielo autunnale e si possono cominciare a scirgere costellazioni come il Leone, l’Idra, la Vergine, l’Ariete e il Cancro tipiche invece del cielo primaverile. Vedremo anche per queste costellazioni, a tempo debito la mitologia ad esse legata.

Vincenzo di Siena

Bibliografia:
Esiodo, Teogonia, Mondadori
Igino, Mitologia Astrale, Biblioteca Adelphi
Ovidio, Le Metamorfosi, Fabbri Editore
Pierre Grimal, La mitologia greca, Newton Compton
P. Grimal e C. Cordiè (a cura di), Le Garzantine – La mitologia, Garzanti

 

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